7 febbraio 2008

La ripartenza

La mattina seguente, senza che ne fossi al corrente, ripartimmo da quel porto dove avevamo fatto scalo soltanto per rifornirci. Era stata solo una toccata e fuga.

La nave riapriva l'acqua del mare col suo solito andare lento, adagio, un andamento che ormai conoscevo molto bene. Mi dispiaceva essere ripartito ancora. Volevo rivedere il cercatore di Verità. Volevo parlargli ancora e conoscerlo meglio. Chissà, forse un giorno lo avrei davvero conosciuto, ma era una cosa che non era in mio potere di fare.

La mattinata fu tranquilla ed il tempo era bello. Ma nel bel mezzo del pomeriggio, le nuvole coprirono il cielo ed iniziò a piovere. Ben presto quello che sembrava solo un banale temporale divenne una vera e propria tempesta.

Così ci fu molto lavoro per me e per i miei compagni. Le giornate furono intense e piene di tensioni perché quando si è nel bel mezzo di una tempesta non si sa davvero dove si va a finire e se si va a finire male. Si balla, ed occorre saper ballare.

Le ore si sommarono l’una sull’altra formando giorni e passarono mesi e la nave era sempre al largo e non si sentiva parlare, almeno tra i mozzi, di un possibile scalo in qualche porto: il mare aperto sembrava ancora il nostro futuro.

Ma per fortuna, ad interrompere il noioso susseguirsi di quei giorni tutti uguali, o almeno simili, una notte mi accadde qualcosa di particolare.

Quella notte non riuscivo ad addormentarmi per causa del freddo che era entrato nella mia stanzetta e a causa del mare in subbuglio e il tempo sembrava non passare mai. Avevo spento la lanterna da ormai due ore ma non riuscivo ad abbandonarmi tra le braccia di Morfeo.

Tutto d'un tratto la nave ebbe uno scossone verso destra e la lampada che stava sul tavolo cadde a terra. Presi al buio, ricordandomi dove fossero, i fiammiferi che stavano sul comodino e ne accesi uno. Mi chinai a terra per raccattare la lanterna che era rotolata sotto il letto e, per la prima volta da quando ero in quel posto letto e saranno stati almeno quattro mesi, mi accorsi che il letto era tenuto in equilibrio da un libretto che stava sotto una zampa rotta: senza quello il letto avrebbe dondolato.

La curiosità però la vinse e tirai via con forza quelle pagine da sotto la gamba del letto. Era una specie di libretto mezzo sgualcito e anche un po' bruciacchiato, polverosissimo - chissà da quanto tempo era là sotto - ma si riusciva ancora a sfogliarlo e si vedevano abbastanza bene le lettere stampate con la macchina da scrivere. Non era una vera stampa da tipografia, bensì un testo fatto a mano chissà da chi e chissà perchè giunto in quella cabina di quella nave.

Presi la lanterna e la accesi. A stento riuscivo a stare in equilibrio per il mare che sembrava sempre più agitato e che cercava di ostacolare, inconsapevolmente, le mie operazioni. Era molto tardi ormai, saranno state almeno le tre e mezzo di notte quando decisi di mettermi a leggere quel racconto offerto dal destino.

Si intitolava Il barbone di Dio. Strano titolo, pensai. Sarà forse la storia di qualche barbone? E sotto, con meraviglia, mi accorsi anche che stava scritto il nome del misterioso autore di quelle pagine: Jacques Meliere de Flumber. E chi è questo? Mai sentito.

Con quel mare non avrei mai potuto dormire e, sebbene fossi stanco, mi sedetti sul letto e strinsi tra le mie mani quelle pagine: volevo leggere quello scritto.

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